Domenica, 24 Novembre 2013 12:17

L’editoriale di apertura di “Habemus papam: prospettive”. Il n. 76 di Religioni

Scritto da  Gerardo

Qui di seguito riportiamo l'editoriale di Arnaldo Nesti, dal titolo Habemus papam: prospettive, uscito nel numero 76, maggio-agosto 2013, di Religioni e società.
Buona lettura!







Habemus papam: prospettive
Arnaldo Nesti

Ritengo utile indicare quali sono i motivi che ci hanno stimolato a preparare questo numero, il n. 76 dal titolo emblematico Habemus papam: prospettive.

Essi sono stati di ordine diverso e sono maturati specialmente nell’ultimo periodo del pontificato di Benedetto XVI, dopo la visita di Papa Ratzinger nell’aprile 2009 a L’Aquila, con la deposizione del pallio sulla tomba di Celestino V. Ci siamo domandati, come leggere questa visita? Gli interrogativi si sono aggiunti con la visione del film di Nanni Moretti. Come si ricorderà, in quel film si esprime la consapevolezza dolorosa, e quindi lo stato di smarrimento e di fuga, a trovare una adeguata soluzione per riempire il soglio papale. Si potrebbe dire che se nel film, appunto, Habemus Papam, si ride e si sorride, l’ironia però mai deturpa il paesaggio antropologico, il riempimento creativo poetico del film, che a suo modo anticipa vicende storiche che si sarebbero rese verosimili, e non solo teoricamente, poche settimane dopo. La situazione che veniva evocata nella pellicola si sarebbe storicamente presentata con le dimissioni impreviste e in qualche modo improvvise di Papa Benedetto XVI.

Perché si è dimesso il Papa? Siamo convinti che compiendo ‘il gran rifiuto’ Papa Benedetto non consente di fare alcun confronto fra il suo gesto e quello della tradizione esegetica del gran rifiuto, da Dante bollato come atto di viltà.

Papa Benedetto XVI si sentiva vecchio e ha ceduto le armi perché si è sentito impari ad affrontare i problemi della Chiesa? E’ stato messo in risalto come papa Ratzinger si sia reso conto, per usare le parole del regista Ermanno Olmi, che la Chiesa attuale è una gabbia che tradisce Cristo? Non c’è più quella Chiesa che avrebbe dovuto essere.

Nel frattempo si sono accumulati gli atti di accusa alla Chiesa per gli scandali che hanno coinvolto illustri uomini della gerarchia ecclesiastica, per le gravi manovre mondane con speculazioni finanziarie, in particolar modo con la gestione spericolata dello ‘Ior’.

Perché le dimissioni? Si è pensato che sarebbe stato necessario un papa giovane con forze fresche che avesse potuto far fronte alla conduzione della barca di Pietro.

Dopo l’elezione del suo successore nella persona degnissima di Papa Francesco, che però non è più giovane essendo quasi alla soglia degli ottant’anni, si è riproposto l’interrogativo sul perché il Papa Benedetto si sia dimesso.

Le ragioni non possono essere ricercate solo nella avanzata età, né su ragioni prevalentemente collegate alla recente grave crisi della struttura vaticana. Occorre andare più a fondo, riandare alla nevralgica questione della Chiesa nel mondo moderno.

In questa ottica è significativo quanto scrive in un suo prezioso agile libretto Giorgio Agamben. Il libretto si intitola il mistero del male. Benedetto XVI e la fine dei tempi, è edito dall’editore Laterza. Secondo questo autore con il grande rifiuto Benedetto XVI ha dato prova non di una viltà ma di un coraggio che acquista oggi un senso e un valore esemplare. La sua decisione richiama con forza l’attenzione sulla distinzione tra due principi essenziali della nostra tradizione etico-politica di cui le nostre società sembrano aver perso ogni consapevolezza: quello della legittimità e quello della legalità.

Nello sviluppare la sua riflessione Agamben pone in evidenza, in particolare, che la decisione del Papa ha riportato alla luce il mistero escatologico in tutta la sua forza dirompente.

Solo in questo modo la Chiesa che si è smarrita nel tempo potrà ritrovare la giusta relazione con la fine dei tempi. Ci sono nella Chiesa due elementi differenziati fra di loro e tuttora strettamente intrecciati: l’economia e l’escatologia, l’elemento mondano temporale e quello che si mantiene in relazione con la fine del tempo e del mondo. Quando l’elemento escatologico eclissa nell’ombra, l’economia mondana diventa propriamente infinita cioè interminabile e senza scopo.

Il paradosso della Chiesa è che essa dal punto di vista dell’escatologia deve rinunciare al mondo ma non può farlo perché, dal punto di vista dell’economia, essa non può rinunciare al mondo senza rinunciare a se stessa. Ma proprio qui si situa l’ardua conciliazione e dunque la crisi davanti alla quale si è trovato il papa. La crisi, però, ha radici complesse e lontane. Travalica le vicende della recente cronaca. Non aveva potuto o saputo trovare una soluzione il papato di Papa Woityla. Nonostate la mobilitazione internazionale e le sue risorse di carismatico leader sullo scenario mondiale le contraddizioni c’erano. Mi sia consentito rivelare quanto mi diceva, in un colloquio privato mentre mi trovavo in Perù, fin dagli ultimi anni settanta, un qualificato presule della curia di Lima all’indomani di una delle prime visite papali in America Latina. Alla resa dei conti ci si accorgerà che dietro questo scenario papale fatto di folle acclamanti, affiorerà una eredità di ‘fracaso’. A distanza di anni, mi piacerebbe inviare un affettuoso saluto di gratitudine al caro monsignore spagnolo missionario in Perù che mi fu confidente guida nel leggere il cattolicesimo latino americano.

Ben lungi dall’essere un atto di viltà «La decisione di Benedetto XVI» come osserva Agamben, «ha riportato alla luce il mistero escatologico in tutta la sua forza dirompente. Solo in questo modo la Chiesa che si è smarrita nel tempo, potrà ritrovare la giusta relazione con la fine dei tempi».

I brevi ma densi saggi che pubblichiamo in questo numero intendono contribuire a leggere la complessa situazione della Chiesa oggi di fronte alla modernità. Imponendo un’attenzione all’imprevista e imprevedibile presenza di Papa Francesco. Ringrazio tutti gli illustri collaboratori per i loro saggi. Un ringraziamento speciale rivolgo a Carlo Prandi per aver ripreso la sua preziosa collaborazione e a Sandro Magister per aver accettato l’intervista quando il numero era già in stampa.

Mentre scrivo queste pagine, leggo i primissimi commenti sul viaggio papale a Lampedusa.

Niente tappeto rosso fino alla scaletta. Niente picchetto d’onore. Niente cerimoniale. Un viaggio di penitenza fino all’ultimo lembo di terra d’Europa, dove si intrecciano storie di speranza e di morte per migliaia di migranti, si poteva benissimo fare con un volo di linea. Questa l’idea di papa Francesco, che era pronto a rinunciare all’aereo di Stato pur di non derogare al principio di sobrietà. Infatti, gli sarebbero bastati quattro posti sul volo giornaliero dell’Alitalia, che aveva chiesto di prenotare alla sua segreteria. Senza calcolare che questo semplice gesto avrebbe creato un piccolo corto circuito diplomatico-istituzionale tra la Santa Sede e lo stato italiano.

Il papa denuncia lo sfruttamento del fenomeno migratorio da parte di trafficanti senza scrupoli. E’ l’abitudine alla sofferenza dell’altro ad alimentare «la globalizzazione dell’indifferenza» e a infittire la schiera dei «responsabili senza nome e senza volto». Il viaggio scarno nel suo svolgimento interroga in modo singolare la coscienza dell’occidente.


Da qui puoi collegarti al sito dell’editore Fabrizio Serra.



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